Uno sguardo alle Riviste letterarie dei primi anni del ‘900

15 Gennaio 2022 Redazione A&S 6263

NELLA FOTO: ALCUNE RIVISTE LETTERARIE DEGLI INIZI DEL 900.

Verso i primi anni del Novecento, l’inquietudine sociale e politica degli intellettuali piccolo-borghesi, ed il loro desiderio di recuperare un ruolo da protagonisti nella società dell'epoca, si espresse nella fioritura di numerose riviste letterarie.

Nei primi anni del Novecento, alcuni giovani intellettuali – fautori di una aristocrazia culturale e politica, in contrapposizione alla generazione positivista e sulla base di nuove ideologie irrazionaliste e vitaliste mutuate da Nietzsche e Bergson – puntarono ad alcuni obiettivi imperialistici e sostanzialmente antidemocratici, attraverso alcune riviste di cultura varia; tali riviste nacquero a Firenze e rivelano una contraddizione tra la volontà di rivolgersi ad un largo pubblico ed il loro linguaggio ottocentesco ed aristocratico. Il presente articolo è stato in parte tratto dal mio recente saggio Valori plastici e il clima di ritorno all'ordine.

La Critica

Vorrei iniziare questa mia trattazione sulle riviste letterarie del primo Novecento affermando che quella più organica, coerente e longeva, tra le riviste del primo '900 è stata sicuramente “La Critica”, diretta da Benedetto Croce, con sottotitolo "Rivista di letteratura, storia e filosofia". Ebbe una grande influenza su tutta la cultura italiana di primo Novecento. Uscì per la prima volta il 20 Gennaio 1903 e continuò le pubblicazioni fino al 1944. Dal 1945 al 1951 uscirono ad intervalli irregolari i Quaderni della Critica, in tutto venti fascicoli. Rispetto ad altre riviste che ebbero vita effimera e programmi spesso chiassosi e contraddittori, “La Critica” ebbe un programma organico, coerente ed univoco, perché era redatta in massima arte da Croce. Molti degli articoli e dei saggi pubblicati su questa rivista confluiranno nei sei volumi della Letteratura della Nuova Italia, centro fondamentale di riferimento per la critica crociana e “palestra” per tutti gli studiosi di letteratura e filosofia. Fino al 1923, quando il loro dissenso divenne insanabile, Croce ebbe come collaboratore il filosofo Giovanni Gentile. Altri collaboratori furono il filosofo Guido De Ruggiero, lo storico Adolfo Omodeo e lo studioso della letteratura Francesco Flora. Benedetto Croce (1866-1952), figura centrale del Neoidealismo, è stato il punto di riferimento dell’estetica della critica letteraria e della storiografia del Novecento italiano. Il sodalizio con Gentile si ruppe quando questi aderì al fascismo, mentre Croce si schierò risolutamente contro il nuovo regime pubblicando il manifesto degli antifascisti (1925). Pur astenendosi dalla politica attiva, Croce rimase costante punto di riferimento per gli intellettuali avversi alla dittatura e sviluppò accanto all’attività filosofica e critica un’intensa produzione storiografica i cui risultati più importanti furono la Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928), la Storia dell’età barocca in Italia (1929) e, infine, la Storia d’Europa nel secolo XIX (1932). Morì a Napoli. “La Critica” fu per quarantadue anni il punto di osservazione sullo scenario di mezzo secolo di storia italiana e passò in rassegna movimenti filosofici e letterari, correnti d’opinione, vicende politiche e civili: dal positivismo al futurismo, dall’anteguerra nazionalista al decadentismo letterario, dal conflitto 1914-1918 all’avvento del fascismo, dall’idealismo gentiliano fino alla seconda guerra mondiale. Quando si accendono le forti polemiche tra neutralisti e interventisti, “La Critica” si dichiara dalla parte dei neutralisti e all’entrata dell’Italia in guerra “La Critica” prosegue i lavori saggistici e storiografici “con mente serena nell’animo turbato”. Così mentre altre riviste sospendono le pubblicazioni o smettono di trattare di letteratura e di arte, la rivista crociana continua “come se guerra non ci fosse” affermando che “sopra il dovere stesso verso la Patria, c’è il dovere verso la verità, che comprende in sé e giustifica l’altro”. Limitandoci alla sua attività di critico letterario, Croce riesaminò alla luce della sua estetica che concepiva la poesia come intuizione pura, lirica e cosmica ossia l’espressione di un sentimento personale che si incarna in una immagine e forma con essa una sintesi perfetta i più importanti autori e le correnti della letteratura italiana ed europea, e fu nemico implacabile del Decadentismo, da lui definito la grande industria del vuoto, accusandolo di essere promotore di teorie irrazionali e misticheggianti, come l’estetismo, il nazionalismo, l’imperialismo. “La Critica” dà ampio spazio all’illustrazione della vita e dell’opera di Francesco De Sanctis, pubblicando Le lezioni di letteratura di Francesco De Sanctis dal 1839 al 1848. Sulla rivista, nel periodo che va dal 1921 al 1925, vengono trattate le esperienze del suo direttore Croce, senatore liberale e ministro della Pubblica Istruzione, con questioni specificatamente scolastiche, come il progetto di riforma della scuola media, l’esame di stato, l’insegnamento della religione. Rimane altresì indiscussa l’importanza civile ed umana della rivista con il suo tenace lavoro di ricerca letteraria e storica e il suo combattivo inserimento nella vita italiana.

Leonardo

“Leonardo” fu la prima di un gruppo di riviste fiorentine che nel primo quindicennio del Novecento fecero di Firenze uno dei centri culturali più vivaci d’Italia. Caratteristica comune a queste riviste fu il bisogno di rompere con il positivismo e di rinnovare la cultura italiana, aprendola alla contemporanea cultura europea d’avanguardia. Esse inoltre patrocinavano una nuova figura di intellettuale militante che non deve limitarsi a conoscere il mondo, «ma deve salvarlo, trasformarlo ed accrescerlo» (Papini). “Leonardo” uscì nel 1903 e cessò le pubblicazioni nel 1907. La rivista fu fondata da due degli autori più irrequieti del primo ’900, il fiorentino Giovanni Papini e il perugino Giuseppe Prezzolini. Il nome Leonardo scelto per la rivista voleva simboleggiare la brama dei redattori di volgere le spalle al passato e di rinnovare la cultura italiana, proprio come Leonardo da Vinci aveva rinnovato l’arte e la scienza volgendo le spalle al Medioevo. Non ebbe un programma coerente ed organico. Unico punto fermo era la polemica contro il positivismo filosofico e letterario. Ebbe il merito di riscoprire poeti e filosofi stranierei, specialmente inglesi e tedeschi, come Blake, Novalis, Shelley ed altri. Politicamente fu di tendenza nazionalista.

La Voce

“La Voce” fu la più prestigiosa e incisiva delle riviste fiorentine, fondata nel 1908 da Giuseppe Prezzolini. Attraverso diverse fasi continuò le pubblicazioni fino al 1916. Una prima fase va dal dicembre 1908, inizio della pubblicazione sotto la direzione di Prezzolini, fino al novembre 1911 quando, in occasione della campagna di Libia, Salvemini, collaboratore, lascia la rivista per fondare la sua Unità. Una seconda fase va dal 1912 fino alla fine del 1913 quando la direzione viene assunta da Papini. Una terza fase dura solamente un anno, 1914, nella quale Prezzolini riprende la direzione della rivista. Una quarta fase dura dalla fine del 1914 al 1916 quando Prezzolini cede la direzione a De Robertis. I vociani si interessano anche ai problemi concreti della società, come la scuola, la questione meridionale, l’impresa libica, le dottrine sindacali, ecc. Tra i vari collaboratori vi erano: Benedetto Croce, Giulio Einaudi, Gaetano Salvemini, Giovanni Amendola, Clemente Rebora, Aldo Palazzeschi, Renato Serra, Dino Campana, Camillo Sbarbaro ed altri ancora. Tutti dibattevano sulle pagine della rivista i principali problemi della società italiana, esponendo ognuno il proprio punto di vista, confrontandosi e magari polemizzando tra loro. Dalla fine del 1914, De Robertis ne fece una rivista esclusivamente letteraria.

Lacerba

“Lacerba” è stata fondata a Firenze il 1º Gennaio 1913 da Giovanni Papini e Ardengo Soffici. Il periodico si avvalse della collaborazione di Palazzeschi e Tavolato. Il quindicinale, stampato in caratteri rosso mattone ed in seguito neri, riprendeva il titolo dal poemetto di Cecco d’Ascoli, "L’acerba", inserendone nella testata un verso, “Qui non si canta al modo delle rane”, alludendo al contenuto eretico ossia dissacratorio, anticonformista e provocatorio della rivista che si proponeva di demolire miti, credenze e convenzioni della società borghese ed esaltava le forze istintive dell’uomo. Non meraviglia perciò che alla rivista, vista la sua natura e il suo programma, collaborassero i futuristi che per circa due anni se ne servirono per propugnare le loro idee antitradizionaliste. Dal 15 Marzo 1913 iniziano ad occupare posti di primo piano. Compaiono così frequentemente i nomi di Filippo Tommaso Marinetti, Luciano Folgore, Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Corrado Govoni. Nell’Ottobre 1913, “Lacerba” pubblica Il programma politico futurista che affermava il primato dell’Italia e propugnava il colonialismo, l’irredentismo, la lotta contro l’Austria, l’esigenza di modernizzare il Paese. Il manifesto politico si rivolge agli elettori futuristi in vista delle elezioni previste per lo stesso anno, le prime a suffragio universale maschile, invitandoli a votare contro le liste clerico-liberali-moderate di Giovanni Giolitti e del cattolico Vincenzo Ottorino Gentiloni e contro il programma democratico-repubblicano-socialista. La rivista cessa le pubblicazioni il 22 Maggio 1915, due giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia: l’ultimo editoriale di Papini reca il titolo "Abbiamo vinto".

Valori Plastici

Il 1918 è anche la data in cui prende corpo un movimento che trae il suo nome da quello di una rivista. A Roma nasce infatti nel 1918 la rivista “Valori Plastici” da un’idea del suo direttore Mario Broglio, scrittore e pittore. La rivista avrà una durata brevissima di soli quattro anni, dal 1918 al 1922, anno in cui cessa le pubblicazioni. A questa rivista collaborano numerosi artisti e altri vedono le loro opere riprodotte, ecco perché convenzionalmente si parla di Gruppo di Valori Plastici anche se in realtà non esiste un manifesto. La rivista vuole essere il luogo di incontro tra la cultura pittorica locale e nazionale italiana, anche se con delle particolarità rispetto all’immediato passato, e la cultura internazionale. Da Roma parte quindi il desiderio di porsi a confronto con la cultura pittorica internazionale. Tutto ciò avviene sia con la pubblicazione di articoli i cui autori spesso sono gli stessi artisti – De Chirico, Savinio, Broglio, ecc... – sia con la riproduzione di opere di artisti italiani e stranieri. Un avvenimento molto significativo è stato quando un intero numero del 1919 è dedicato al cubismo, con la conseguenza di diffondere i dipinti di Picasso e farli conoscere. La rivista avrebbe dovuto essere un mensile ma aveva una pubblicazione discontinua. Gli artisti italiani che collaborano con la rivista sono artisti che pur provenendo da esperienze di avanguardia rifiutano l’avanguardia a vantaggio di una riscoperta di una pittura a scultura più legata alla tradizione che non significa semplice ritorno al passato. Nel lavoro di questi artisti c’è un sincero desiderio di riscoperta della tradizione pittorica rinascimentale e della riscoperta del mestiere di pittore. Si volevano lasciare alle spalle tutte le intemperanze che avevano caratterizzato il grande movimento di avanguardia italiano che era stato il futurismo e le difficoltà e le insidie che la guerra e il dopoguerra avevano lasciato. Si vuole recuperare il senso della pittura e questo può avvenire attraverso la riscoperta della tradizione storica. Ecco perché nel lavoro degli artisti gruppo di “Valori Plastici” c’è un deciso ritorno alla figurazione tra cui De Chirico, prima promotore della metafisica, Carrà, firmatario del manifesto del futurismo e poi pittore metafisico, Morandi, che dopo avere avuto un breve inizio futurista partecipando alla mostra di Sprovieri, ed essere stato pittore metafisico entra a far parte di “Valori Plastici”. Nel linguaggio comune, riferendosi a questo periodo, spesso si parla di un “ritorno all’ordine” sotto il quale si fa rientrare tutto quello che è abbandono delle avanguardie. Questo però può avere sia una valenza positiva che negativa quindi è bene fare attenzione e distinguere le varie correnti. L’esigenza di lasciare da parte i movimenti di avanguardia investe anche in campo letterario, infatti a Roma viene pubblicata nello stesso periodo la rivista letteraria “La Ronda”. A questa rivista collaborano scrittori come Cecchi, Cardarelli, Bacchelli e altri che sostengono le medesime idee di Valori Plastici.

La Ronda

“La Ronda” è stata pubblicata a Roma tra il 1919 e il 1923, inizialmente diretta da un’equipe redazionale formata da sette persone, i “sette savi” o i “sette nemici” (per indicare i legami di amicizia, ma anche la divergenza di idee). Assai diversi fra loro per temperamento, concordavano sulla necessità di un ritorno alla tradizione classica. Gli scrittori de “La Ronda” mirarono a restaurare i valori della letteratura intesa come stile. Nel perseguire questo compito assunsero a modello Leopardi, soprattutto quello prosatore, nel quale videro l’ideale di una moderna letteratura italiana, europea proprio in quanto fondata sulla tradizione, e un mirabile esempio di quella prosa insieme poetica e riflessiva che si accordava con il loro gusto di scrittori portati più al saggio che alla narrativa. Sul numero 1 de “La Ronda” dell’Aprile 1919 apparve un Prologo in tre parti redatto da Vincenzo Cardarelli i cui punti fermi erano essenzialmente tre: a) simpatia e preferenze per il passato, culto dei classici e humanitas che consentono di sentirsi uomini; b) impegni linguistici e stilistici come il leggere e lo scrivere elegante non in senso formale ma come lucida e leopardiana trasparenza dei moti dell’animo; c) sincera fedeltà alla tradizione senza perdere di vista il livello europeo delle letterature straniere, mettersi in regola coi tempi, senza però spatriarsi. I futuristi sono violentemente attaccati e denominati distruttori letterari.

Solaria

“Solaria” fu una rivista letteraria fondata nel 1926 da Alberto Carocci. Durò un decennio, fino al 1936. Esaminando le tendenze letterarie dei suoi collaboratori, individuiamo da subito all’interno del giornale due diverse correnti di pensiero: quella dei cosiddetti rondisti, autori provenienti dalla rivista “La Ronda”, decisi a dar vita ad una vera e propria civiltà umanistica indipendente dalla politica, tra i quali troviamo Riccardo Bacchelli, Antonio Baldini, Bonaventura Tecchi, Arturo Loria ed Alessandro Bonsanti; e quella dei solariani veri e propri che sostengono un’attività di denuncia e di critica nei confronti della realtà contemporanea, incarnata nella fattispecie nel regime fascista. Appartengono a questo secondo gruppo intellettuali come Eugenio Montale, Leone Ginzburg, Aldo Garosci, Giacomo Debenedetti, Mario Gromo, Umberto Morra di Lavriano e Sergio Solmi. Ciò che accomuna le due linee è una sorta di missione culturale europeista, che consiste nel connettere insieme le più importanti prove letterarie europee dell’epoca. In questo senso “Solaria” porta alla ribalta nazionale molti autori fondamentali fino ad allora poco noti, intraprendendo un inestimabile lavoro di diffusione della più pregevole ed immensa letteratura: André Gide, Paul Valéry, Marcel Proust, James Joyce, Thomas Stearns Eliot, Virginia Woolf, Ernest Hemingway, William Faulkner, Vladimir Vladimirovič Majakovskij, Sergej Aleksandrovič Esenin, Boris Pasternak, Rainer Maria Rilke, Franz Kafka, Thomas Mann, Stefan Zweig. Per quel che riguarda la letteratura nazionale invece, la rivista contribuisce a divulgare la prosa di Italo Svevo e di Federigo Tozzi, e la poesia di Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale ed Umberto Saba. A causa della decisa e chiara opposizione alla dittatura fascista, “Solaria” viene colpita a più riprese dalla censura. In particolar modo, il numero 2, Marzo-Aprile del 1934, viene sequestrato del tutto poiché accusato di essere moralmente offensivo. Oltre alle difficoltà rappresentate dal bavaglio del regime, l’esistenza del giornale è messa a repentaglio da forti dissidi interni alla redazione. Carocci vuole fare di “Solaria” una rivista di idee, e l’assidua collaborazione di autori non più letterati bensì ideologici come Giacomo Noventa, Nicola Chiaromonte, ed Umberto Morra evidenza esplicitamente tale cambiamento editoriale. Così facendo Carocci fa le prove generali di un dialogo con il fascismo. La stragrande maggioranza dei collaboratori però non è d’accordo con l’inversione di tendenza voluta dal direttore, ed abbandona la rivista che, di fatto, cessa di esistere, terminando le pubblicazioni dopo dieci anni di intensa attività, nel 1936.

Giovanni Cardone

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Ultimo aggiornamento: 15/01/2022, 09:40