Una vita per il Restauro: intervista inedita al restauratore d'arte Riccardo Ventura

5 Novembre 2020 Redazione A&S 4683

NELLA FOTO: RICCARDO VENTURA DA GIOVANE INSIEME ALLA FIGLIA SIMONETTA – UNO SCATTO ATTUALE DI RICCARDO VENTURA.

Il restauratore Riccardo Ventura, prestigioso professionista in ambito nazionale ed internazionale, ha dedicato la sua vita alla conservazione delle opere d’arte, una passione nata in giovane età e che lo ha portato a viaggiare tra l’Italia e l’Europa per eseguire importanti interventi conservativi. Del resto Ventura non solo ha partecipato attivamente alla conservazione del patrimonio mondiale, ma ha avuto anche il merito di diffondere la teoria e le metodologie brandiane sia livello nazionale che internazionale. Nasce a Sannicola (LE) il 12 Novembre del 1933, suo padre Giovanni Ventura era un imprenditore agricolo e un proprietario terriero, mentre la madre, Assunta Piccioli, era una casalinga e una ricamatrice. Dopo il diploma di perito elettrotecnico conseguito presso l’Istituto Tecnico di Gallipoli (LE), nel 1952 arriva a Roma e inizia a lavorare nello studio dello zio Rocco Ventura, restauratore della Soprintendenza di Palazzo Venezia. Il soprintendente, Emilio Lavagnino, apprezzando le abilità tecniche del giovane Riccardo non solo lo incaricò di intervenire sulla Fornarina di Raffaello ma lo presento al prof. Cesare Brandi, per avviarlo al corso di formazione presso l’Istituto Centrale per il Restauro. In occasione del concorso di ammissione all’I.C.R., nel 1957, presidente della commissione era Roberto Longhi. Durante la prova pratica svolse la pulitura su un dipinto di Gherardo delle Notti (Gerard van Honthorst) e realizzò, come prova di rigatino, una copia del profilo di Bartolomeo Platina dall’affresco di Melozzo da Forlì, con Sisto V nomina Platina prefetto della Biblioteca Vaticana.

Si sposa a Roma il 23 Luglio 1961 con Adriana Travaglino, di origine ligure, da cui ebbe due figli: Leandro e Simonetta, ai quali trasmise completamente il suo amore per l’Arte. Questo insegnamento spinse la figlia Simonetta a intraprendere lo stesso lavoro paterno mentre il figlio Leandro a studiare la Storia dell’Arte divenendo oggi dirigente MIBACT. Assunto, a seguito di concorso, nel 1964 e assegnato alla Soprintendenza Archeologica di Roma, dove ha svolto il proprio servizio presso la sede del Museo Nazionale Romano. Divenne in questo ambito capo restauratore della Soprintendenza, svolgendo importanti restauri sugli affreschi: del Giardino di Livia, della Domus Aurea e del Museo Nazionale Romano. Dopo la pensione, nel Novembre 1999, ha continuato a lavorare privatamente fino al trasferimento a Sannicola, dove è intervenuto sulle pale d’altare di alcune delle chiese della zona. Dal 2004 al 2007 è stato docente di “Tecnologia dei supporti lignei” nell’ambito del corso sperimentale di “Conservazione e Restauro” all’Accademia di Belle Arti di Lecce.

Cosa ha significato per lei formarsi presso ICR, ai tempi del grande Cesare Brandi?

Per me è stata una grande emozione poter studiare e restaurare opere importanti presso ICR, Brandi era un professore molto esigente e severo, voleva che il restauratore avesse una formazione totale su tutte le opere che fossero lignee, lapidee, affreschi o tele. Lui seguiva personalmente gli studenti migliori per essere certo della loro preparazione.

Durante la sua lunga professione di restauratore ha lavorato su opere eccezionali, tra queste nel 1954 la Madonna dei Pellegrini, capolavoro di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, conservata presso la Chiesa di Sant’Agostino a Roma. Ci può raccontare un aneddoto di questo prestigioso intervento?

Veramente un’opera meravigliosa, mi fu affidata dal Soprintendente Emilio Lavagnino che credeva molto nelle mie capacità. Ero molto emozionato, mi ricordo che mi impegnai al massimo nella ricostruzione con ritocco mimetico delle parti mancanti, la tela era rovinata a causa dei bombardamenti. In particolare ricordo la ricostruzione del piede in primo piano del pellegrino, aveva una grossa lacuna. Vennero a vedere il termine del lavoro Lavagnino con il suo amico Brandi e restarono colpiti dicendomi “I piedi sono cosi precisi che pare di toccarli e di sentirne l’odore”.

Dal 1997-1998 per la Soprintendenza Archeologica di Roma si occupo dell’Intervento di restauro e sistemazione museale degli affreschi del Giardino di Livia, per il nuovo allestimento del Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo. Cosa significò per lei mettere mano su un ciclo pittorico così importante?

Lo spostamento della collezione di affreschi del Museo Nazionale Romano e principalmente del Giardino di Livia nella nuova sede di Palazzo Massimo è stato un lavoro molto impegnativo, che ho curato in prima persona dall’inizio alla fine. Questo non è stato altro che l’atto finale di un lungo percorso che mi ha trovato protagonista dallo stacco dalla sede originale all’interno della Villa di Livia e il restauro, durato anni su tutta l’opera pittorica all’interno del Museo delle Terme. L’intervento sul Giardino di Livia è stato emozionante per lo studio delle piante e degli animali che mi circondavano, scoprendo molte piante oggi scomparse e sentirsi immerso nella natura, conoscendo approfonditamente ogni dettaglio dell’opera.

Tra le diverse attività svolte durante la sua professione ha avuto modo di formare moltissimi giovani desiderosi di apprendere il mestiere del restauratore. Cosa ha principalmente trasmesso loro e cosa ritiene sia importante avere per poter svolgere questa professione?

Spero di aver trasmesso loro il rispetto dell’opera d’arte e dell’autore, lo studio approfondito dell’opera da restaurare e dell’arte, l’uso e preparazione dei materiali con lo stesso metodo dell’artista e, cosa fondamentale, la reversibilità del restauro. Per poter svolgere questa professione bisogna avere tanta passione, essere portati all’intuizione ed essere molto pignoli.

Cinzia Giorgi

NdR: si ringraziano Simonetta e Leandro Ventura per aver contribuito a raccogliere la testimonianza del padre.

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Ultimo aggiornamento: 05/11/2020, 18:41