CopertinaContributi e SegnalazioniUn pittore misterioso del Rinascimento veneto, Francesco Montemezzano
31 Gennaio 2024 Redazione A&S 417
È avvolta nel mistero più fitto, la tragica scomparsa di Francesco Montemezzano, pittore veronese del Cinquecento a cui fa riferimento Carlo Ridolfi nella sua biografia dei pittori veneti (fig. 1), parlando di un tentativo di avvelenamento che fu fatale per l’artista, a causa dei suoi torbidi amori con donne veneziane (probabilmente anche con quelle già maritate).
Francesco Montemezzano (1555-1602) è tra le personalità più enigmatiche del tardo Rinascimento veneziano. Veronese di nascita, dopo un'incerta formazione veronese – di cui si sa veramente poco – si trasferisce a Venezia, avendo già lavorato con gli altri pittori della cerchia di Paolo Veronese presso il Seminario di Treviso. Lavorerà a Palazzo Ducale a Venezia e a San Francesco della Vigna, magnifica chiesa dell'ordine dei Francescani, dove si trovano tutt'ora quattro dei suoi dipinti. Operò anche a Sacile, a Palazzo Ragazzoni, in veste di frescante. Divenne così famoso nell'imitare lo stile di Paolo Veronese tanto da ricevere numerosi incarichi pubblici in tutto il Veneto: Verona, Lendinara, Lonigo e altri centri del Nordest.
Il suo stile si distingue in modo particolare per il fatto di caricare la mimica dei personaggi, i quali vengono rappresentati con delle pose scomposte ed impetuose; le sue figure possiedono inoltre una muscolatura poderosa in cui gli arti sono particolarmente torniti e ipertrofici; insiste nella sua opera una sorta di cangiantismo, memore delle figure dipinte da Michelangelo nella volta della cappella Sistina (1508-1512). Non è accertato un suo viaggio a Roma, ma probabilmente Francesco Montemezzano conosceva a fondo lo stile di Michelangelo Buonarroti, di cui riprenderà soprattutto la materia cangiante delle vesti dei suoi personaggi nonché l’utilizzo raffinato di un cromatismo molto acceso in senso espressionistico. Rispetto al ductus veronesiano, Francesco Montemezzano esalta ancor più la drammaticità dell’evento sacro che egli propone in chiave manieristica e in perfetta antitesi al linguaggio di Tintoretto, come nella Caduta della Manna di San Francesco della Vigna (fig. 2). Fu anche un abile ritrattista: nei suoi ritratti la materia pittorica è più scabra e liscia rispetto alla teatralità che possiamo ravvisare nelle scene sacre dove esalterà invece l’aspetto marcatamente luministico più affine all’arte di Paolo Veronese. Nei suoi ritratti viene esaltata altresì la psicologia del personaggio raffigurato di cui il pittore mette in evidenzia anche gli aspetti legati al costume: Francesco Montemezzano indugia nei dettagli legati al costume dell’epoca, quali le gorgiere, il farsetto e altri capi d’abbigliamento che mettono in evidenzia lo status sociale dell’effigiato. Inoltre, la sua ritrattistica troverà non pochi punti di contatto con lo stile dei pittori lombardi della fine del Cinquecento.
Nonostante il lavoro intrapreso dagli allievi del Prof. Enrico dal Pozzolo dell’Università di Verona nel voler ricostruire il catalogo di quest’autore, ad oggi la figura del Montemezzano appare ancora completamente offuscata dall’assenza delle fonti storiche e priva di contorni nitidi. Lo scrivente avrà cura di riprendere in mano la vicenda artistica dell’artista veronese il cui catalogo non è affatto di poco conto ma di cui esistono numerose opere che andrebbero ulteriormente indagate. Anche nel territorio vicentino troviamo tracce della sua opera: una pala di soggetto teologico legato al martirio dei santi (Lonigo) e uno splendido Ritratto del vescovo Matteo Priuli, protagonista della Riforma tridentina a Vicenza, attualmente conservato presso il Museo Diocesano di Vicenza (fig. 3). Quest’ultimo dipinto, tra le ultime acquisizioni del Museo Diocesano, mostra alcune affinità, sia nel volto del personaggio raffigurato che nella dolcezza della stesura pittorica con preziose lumeggiature che esaltano ancor più le pieghe delle vesti, con il San Matteo e l’angelo (fig. 4), capolavoro di Francesco Montemezzano conservato nella chiesa di San Francesco della Vigna a Venezia: oltre alle evidenti affinità stilistiche e morfologiche più specificamente nel volto dei personaggi rappresentati, vi è l’utilizzo della colonna, dal fusto liscio e senza scanalature, che il pittore inserisce solitamente nel margine sinistro dei suoi ritratti con l’unica eccezione che nel Ritratto del vescovo Matteo Priuli abbiamo una fuga di colonne , sempre nel lato a sinistra del dipinto. L’uso delle colonne per arricchire il dipinto dal punto di vista prospettico e compositivo lo ritroviamo persino in Tintoretto.
Francesco Caracciolo
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Ultimo aggiornamento: 31/01/2024, 19:56