CopertinaGrazia Santarpia / BiografiaGrazia Santarpia / Note critiche
10 Novembre 2021 Redazione A&S 613
Artista poliedrica che spazia dalla pittura alla scultura, design, poesia, illustrazione per l’infanzia e progettazione visiva; Classe ‘83, manifesta la sua arte attraverso molte forme e materiali, una passione innata che ben presto ha incontrato l’arte e l’ha portata ad esporre le sue opere già da ragazzina partecipando attivamente a mostre personali e collettive ottenendo significativi premi e riconoscimenti nonché positivi consensi da parte della critica. Laureata con massimo dei voti in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove inizia un primo importante approccio verso lo studio del colore e del segno attraverso diverse metodiche dalla percezione visiva e alle sperimentazioni con gli stessi. Prosegue gli studi qualificandosi come Web e Graphic designer presso l’Istituto Superiore di Comunicazione ILAS (Na); Da oltre dieci anni lavora nel suo studio a Pompei nel continuo mutamento da arte a design. L’arte di Grazia Santarpia appare come il riassunto e l’esegesi di un viaggio intimo, un percorso lento e minuzioso verso la scoperta del proprio io, assimilabile nell’esperienza all’unico universale. La tela su cui la pittrice costruisce il proprio diario di immagini diventa locus esclusivo di identità ed emozione, esplorazione e ricerca di un equilibrio che esorcizzi la mancanza di centralità interiore.
La scrittura utilizzata pone come oggetto primordiale il rapporto tra la germinazione e l’elemento matematico naturale, il sorgere di nuova linfa accompagnato da vibrazioni ataviche, linguaggio che declina in aree invase da grafemi, in circolarità simboliche e riflessioni sull’impermanenza e sull’eternità del flusso vitale. È proprio la ritualità della linea circolare, ripetuta all’infinito, quasi un mantra che invade la superfice, a divenire il mezzo espressivo di una materia introspettiva, di una realtà che trasla, si contorce su se stessa per insinuarsi nelle pieghe recondite del pensiero.
Il decorativismo minuto, il brulichio di cellule grafiche e il fermento vitale dell’horror vacui, sembra riproporre l’ancestrale rapporto aureo in uno spazio vivo nella mistica del segno. Come al microscopio esseri primigeni diventano materia di studio, lo sguardo si posa indagatore sulle forme che interrompono il flusso, pulsioni ed emanazioni che espandono codici interiori a cui l’artista continua ad appellarsi dichiarando se stessa e il proprio pensiero.
Le manifestazioni naturali che vivono nelle composizioni appaiono come icone simboliche, come nodi dell’esistenza in un processo di costante trasformazione, sono oggetti e soggetti silenti, da cui aspettarsi un’esplosione improvvisa. L’ambiguità di tali contrasti sconcerta e provoca curiosità, tutto sembra quiescente, inerte e contemporaneamente pronto ad un cambiamento.
Anche la scelta prevalente del bianco e nero segue tale direzione, quasi un’esorcizzazione delle forze oscure che palpitano e gridano dalla coscienza, una netta separazione tra lati contrapposti dove l’uno e il suo doppio appaiono come prodromi della creazione svelando così la cosmogonia personale dell’artista. La naturale propensione di Grazia Santarpia all’indagine si unisce all’incessante sperimentazione attraverso un metodo di rappresentazione e di verifica oggettiva. Tutto il suo universo parte infatti da lì, da dove l’occhio si posa e coglie informazioni per poi trasferirle sulla tela, il punto di partenza per un viaggio dai molteplici approdi. Il cambio di registro appare quindi un’evoluzione necessaria, un’esigenza interiore che si dirige verso accensioni timbriche, raggi oscuri e frammenti incandescenti. I guizzi sembrano vagare lontani e separati per poi approdare di nuovo all’unità di immagine, in una fitta trama di associazioni e corrispondenze. Il gesto più animato, veloce e nervoso corre accompagnato da colori acidi, per un espressionismo materico che prende forma da una linea grafica che si scioglie pian piano verso l’astrattismo. La corporeità, la carne e la passione si liquefano in colature rosse, blu e gialle in un amplesso che è antefatto e conseguenza di un’entità singola, forte della propria centralità, quale elemento che occupa tutta l’area della tela con esuberante tracotanza.
Ugualmente prende piede in altre manifestazioni sperimentali, più attuali nella produzione dell’artista, la volontà di liberarsi dalla costruzione; nascono così, sviluppati da altre necessità, nuove forme in cui la materia si fonde in un’immagine timbrica, il suono diventa linguaggio da utilizzare per guidare la creazione tridimensionale, l’installazione e la scultura che crescono seguendo la naturale evoluzione creativa. Esplorando il processo di costante trasformazione dell’artista le manifestazioni appaiono come frammenti di vita, come nodi dell’esistenza in cui si percepisce quanto il codice da lei elaborato sia l’accesso alla conoscenza di archetipi ancestrali e di memorie ataviche appartenenti al sentire comune. le molteplici ricognizioni coloristiche naturali come persone, sono oggetti e soggetti al cui fascino è impossibile sfuggire.
“Un’opera d’arte è soprattutto un’avventura della mente”, ha scritto il noto drammaturgo francese Eugène Ionesco. Un’avventura è sempre una sfida. Che poi parta dalla mente e l’attraversi nel suo movimento vitale fino a concludersi in significati concreti, ciò la rende ancora più emozionante, reale, sinergica. Non c’è un dipinto di Grazia Santarpia, soprattutto dal 2009 a oggi, che non inviti chi lo guarda a seguire l’artista nei meandri del suo pensiero, stimolandone la velocità di percezione e provocandone una riflessione sempre aperta sul tema della vita, sul mistero della germinazione e delle sue infinite simbologie. Un’avventura della mente, per l’appunto, e nella mente. Grazia Santarpia è un’artista giovane, creativa, dotata di particolare versatilità; un’artista che ha raggiunto in poco tempo e in maniera indipendente un’autonomia e un’originalità espressiva notevole. Con mezzi semplici ma incisivi, con precisione e ‘leggiadra’ forza ci conduce dentro la “trama” della tela, lì dove le immagini e i concetti, riuniti in un sol corpo, danno vita e fattezza ai significati, altrimenti invisibili. Grazia Santarpia dopo anni di studio e di continua ricerca di soluzioni nuove, arriva, infatti, alla sua tecnica attuale, un procedimento di lavorazione a inchiostro, nel quale è l’impianto compositivo, strutturato a catturare e ritagliare gli spazi, a imporsi notevolmente dal punto di vista visivo; quasi un labirinto di illusioni dove emerge la capacità inventiva dell’artista di creare intriganti giochi di pieni e di vuoti a cui corrispondono importanti contenuti simbolici. È evidente la cura del particolare nella stesura di figure con forme nette. La scala di neri e di grigi adoperata marca ancora di più la precisione e la concretezza dei personaggi che popolano le tele di questo periodo: esseri minuscoli che racchiudono dentro una grande potenzialità e che rappresentano un po’ quello che è il retroscena invisibile della comune realtà.
Un nuovo senso di essenzialità stimola interiormente l’artista; è questa la natura della sua indagine: lo studio di ciò che si ripete ma non è mai uguale, di ciò che è naturale ma non sempre regolare; l’idea fissa, il principio base della Natura che ritorna ogni volta ma non si dogmatizza mai, non si sterilizza né si uniforma. La “spira mirabilis” di cui parla Jakob Bernoulli, ossia quella spirale meravigliosa che cresce ruotando, la cui presenza è chiaramente visibile nei lavori di Grazia Santarpia, diventa un’importante figurazione del fuoco creatore, e, allo stesso tempo, del suono primordiale che, a sua volta, trova espressione in una continua e circolare vibrazione cosmica.
Si ripresenta pertanto, approfondito e maturato, il tema della vita, arricchito questa volta da una consapevolezza importante: la vita possiede una capacità indiscutibile, quella di rinnovarsi e perpetuarsi allo stesso tempo. Ed è proprio con questa concezione ideale e ambivalente del ciclo vitale che l’artista Grazia Santarpia realizza le sue meraviglie incantate, operando in prima persona quello che dovunque si conosce come il ‘miracolo della vita’.