CopertinaContributi e SegnalazioniPremio Sulmona: intervista inedita al Prof. Raffaele Giannantonio (a cura di Maurizio Vitiello)
22 Gennaio 2021 Redazione A&S 4742
Il Prof. Giannantonio è architetto, professore associato di Storia dell’Architettura (Abilitato Ordinario) nel Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara. È socio ordinario del Centro di Studi per la Storia dell’Architettura di Roma, membro dell’Urbanism of European Dictatorships during the XXth Century Scientific Network della Bauhaus-Universität di Weimar e componente del Consiglio Direttivo del Centro Nazionale di Studi Dannunziani di Pescara, nonché coordinatore italiano di Architettura e Letteratura tra Adriatico e Mar Nero. L'esaustiva intervista è stata condotta per noi dal Sociologo e Critico d’Arte Maurizio Vitiello.
Maurizio Vitiello – Può segnalare ai nostri lettori il suo percorso di studi?
Raffaele Giannantonio – Ho conseguito il diploma di scuola superiore nel Liceo Classico “Ovidio” di Sulmona (1976) e mi sono poi laureato nell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti e Pescara (A.A. 1980-81). Mi sono abilitato all’esercizio della professione di architetto e iscritto all’Albo dei professionisti (1983). A Napoli ho svolto l’esame finale del Dottorato di Ricerca in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica (1996).
Maurizio Vitiello – Può raccontare i suoi iniziali desideri e i percorsi che voleva seguire?
Raffaele Giannantonio – Come tanti dei miei compagni del Liceo Classico coltivavo svariati interessi, molto discordanti tra di loro. Ad esempio, mi sarebbe piaciuto seguire la carriera diplomatica, poiché nell’anno in cui mi sono diplomato era stata istituita nell’Università di Firenze una specializzazione della Laurea in Scienze Politiche finalizzata a questo scopo. Altra mia passione era la medicina: mi sarebbe piaciuto curare i miei simili, ma ho finito poi per curare i monumenti.
Maurizio Vitiello – Quando è iniziata la voglia di “fare architettura”?
Raffaele Giannantonio – Posso dire ancor prima di essere nato. Mio padre ingegnere aveva deciso che sarei diventato architetto per colmare il vuoto causato in lui dalla “fuga” in Venezuela di suo fratello, studente di architettura ormai prossimo alla laurea. Allora non si discuteva la volontà paterna. E così fu.
Maurizio Vitiello – È stato mai redattore di un “manifesto” o di una rivista?
Raffaele Giannantonio – Nel 1995 fondai con alcuni neolaureati e studenti di Architettura un ensemble di ricerca che si chiamava “L’Isolario-Gruppo di Maggio”, con l’intento di rivoluzionare i rapporti tra committenza pubblica e progettisti. Oggi sono direttore di due collane di Architettura, “L’ACAb” (L’Architettura Contemporanea in Abruzzo) e “Temi&Territori” e faccio parte del comitato di redazione di alcune riviste di architettura, la più importante delle quali è “Palladio”.
Maurizio Vitiello – Con quali riviste collabora? Quali gli ultimi saggi?
Raffaele Giannantonio – Le principali collaborazioni sono con la già citata “Palladio”, “Opus”, “Bollettino del Centro di Studi per la Storia dell'Architettura”, “Rassegna Dannunziana”. Tra i saggi più recenti:
Maurizio Vitiello – Cosa ha dedicato al design?
Raffaele Giannantonio – Dall’Anno Accademico 2015-16 fino a quello 2019-20 ho insegnato Storia del Design nel Corso di Laurea in Design dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti e Pescara. Inoltre, negli anni 2018 e 2019 all’interno del 45° e 46° Premio Sulmona ho organizzato, in qualità di Presidente, altrettante sezioni dedicate al Design.
Maurizio Vitiello – Mi può dire quali architetti bravi ha conosciuto e con cui ha operato, eventualmente “a due mani”?
Raffaele Giannantonio – Consentitemi di rispondere che ho imparato molto da mio padre Gaetano, ingegnere, assieme al quale ho operato “a due mani” in tutti i miei primi lavori, dal 1983 fino al 1992, finché intrapresi una strada autonoma. Era un ingegnere che rispettava l’architettura, tanto da farmi visitare, durante la mia infanzia, le più importanti città d’arte italiane. Dopo il canonico mese di vacanza al mare, finalizzato alla crescita armonica del corpo, alla fine d’agosto la mia famiglia partiva da Pescara alla volta di Venezia, Roma, Milano o Firenze per porre le basi culturali di quella che sarebbe stata la mia futura attività professionale.
Maurizio Vitiello – Ha conosciuto l'architetto catalano Oscar Tusquets Blanca, che ha progettato la stazione Toledo sulla Linea 1 della Metropolitana di Napoli, che fa parte delle "Stazioni dell'Arte", progetto promosso dall'amministrazione comunale per avvicinare i cittadini all'arte contemporanea? Questa stazione è considerata la più bella del mondo, per quel buco ombelicale che fa precipitare l’azzurro che illumina le viscere bi-millemarie di Napoli. Ovviamente, questa domanda è anche per parlare di Napoli, unica città-mondo del pianeta Terra...
Raffaele Giannantonio – La Stazione Toledo è sicuramente la più bella del Mondo. L’ho visitata accuratamente e fotografata a Capodanno del 2018, che scelsi di trascorrere a Napoli proprio in omaggio a una delle più importanti città-madri della cultura mondiale. Per me questo termine ha valenza doppia, poiché sono stato concepito durante il viaggio di nozze che i miei trascorsero a Napoli. Posso affermarlo con certezza anche in considerazione del fatto che sarei stato il primo figlio di una coppia formata da un ingegnere e da una professoressa di Matematica. Valenza tripla in quanto, sempre in quell’occasione, visitai il Museo MADRE (Museo d'Arte Contemporanea Donnaregina), quale rispettoso omaggio alla realtà espositiva di questa meravigliosa città. Appena tornato a Sulmona la mia vita cambiò repentinamente e mi piace pensare che, nel bene e nel male, questa metamorfosi sia stata generata dal seppur breve soggiorno tra Palepoli e Neapoli.
Maurizio Vitiello – Può precisare i cardini e le prospettive del suo operato all’Università a Pescara?
Raffaele Giannantonio – I cardini sono nel lavoro giornaliero e costante che si è dipanato dal 1985 fino ad oggi nel duplice campo della didattica e della ricerca. Le prospettive sono quelle di attuare le potenzialità telematiche che la recente crisi pandemica ha imposto a un ambiente che sembrava cristallizzato in modalità immutabili. Improvvisamente, ci siamo trovati proiettati da una realtà periferica al centro di un mondo senza più confini istituzionalizzati, occasione questa da non lasciarsi sfuggire.
Maurizio Vitiello – Perché la decisione di scrivere e raccogliere poesie?
Raffaele Giannantonio – Io sono il prodotto di un’ibridazione educativa. Da una parte, come detto, mio padre ingegnere, dall’altra mio zio materno, poeta e professore universitario di Letteratura Contemporanea. Da bambino trascorrevo il mese di settembre nella casa dei miei nonni in un piccolo, splendido paese, in cui mio zio mi lasciava aprire e leggere le lettere che gli scrivevano importanti poeti italiani, come ad esempio Eugenio Montale (che allora non sapevo chi fosse). Per me la Poesia era una cosa naturale, come le piogge di fine estate e le bellissime piante che crescevano nell’orto di famiglia. Per questo ho sempre scritto poesie ma fu un’esperienza eccezionale che mi fece decidere di pubblicarle, in età decisamente adulta. Nel 2013 la scoperta della malattia (l’Alzheimer) che stava devastando mia madre mi fece comporre un canto d’amore perduto con il quale, del tutto casualmente, partecipai a un concorso di Poesia che, nel mio totale stupore, vinsi. Volli allora raccogliere i componimenti dei precedenti venti anni dando luogo a una silloge, che mi portò altri premi. Si trattava in fondo di un divertimento, una semplice espansione dell’animo, cui seguì la pubblicazione di altre due raccolte e vari interventi in collettanee. Ora sto riflettendo se dar luogo a un altro episodio editoriale o fermarmi. Non dipende da me. Se lo facessi, varrebbe prevalentemente quale testimonianza di questa particolare fase dell’esistenza umana.
Maurizio Vitiello – Dentro questa sua esposizione, a più livelli espressivi e stratificazioni c’è la sua percezione del mondo, forse, ma quanto e perché?
Raffaele Giannantonio – Senz’altro. Se avrò avuto un merito, sarà stato quello di buon comunicatore capace di esprimere il senso del Tempo e della Vita attraverso gli strumenti a sua disposizione quali l’architettura, la poesia e gli eventi artistici. Sempre con la voglia e la necessità di raccontare le infinite storie della cultura italiana.
Maurizio Vitiello – L’Italia è “sorgiva” per gli architetti dei vari segmenti?
Raffaele Giannantonio – Sempre e comunque. Roma, Napoli, Firenze, Venezia, Milano, ma anche Palermo, Bologna, Ferrara, Genova, Matera, Lecce, Torino, Lucca non sono New York, Londra o Berlino, ma molto di più.
Maurizio Vitiello – Quali piste di “maestri” ha seguito?
Raffaele Giannantonio – Nell’architettura quelle di tanti, forse troppi. Mi sento molto vicino alla sensibilità dei giapponesi (vedi Tadao Ando) o di Nicholas Grimshaw, anche se l’ampliamento del Museo Ebraico di Berlino di Daniel Libeskind continua a commuovermi, ogni volta che lo visito. In una delle mie opere più impegnative, il recupero e la sistemazione di Piazza Plebiscito a Sulmona mi ispirai però a James Stirling e al suo progetto di concorso per il Derby Civic Centre (1970). Nella poesia mi sento debitore (in ordine sparso) di Eugenio Montale, Giorgio Caproni, Mario Luzi, Maurizio Cucchi, Giovanni Raboni, Giovanni Giudici, Luciano Erba, Alda Merini, Patrizia Cavalli, Franco Loi, appena scomparso. In omaggio alla cultura partenopea vorrei ricordare anche la figura di Michele Sovente per la sua incredibile capacità di esprimersi in Italiano, Latino e Napoletano. Nell’organizzazione di eventi artistici ho cercato di seguire i “passi giapponesi” (come direbbe Patrizia Cavalli) dei critici del Premio Sulmona.
Maurizio Vitiello – Pensa di avere una visibilità congrua?
Raffaele Giannantonio – Quando si opera e si vive in una località e in un’università di provincia si sa che è molto difficile ottenere una visibilità proporzionata all’impegno. Curioso è notare come, ad esempio, alcuni miei scritti sull’Architettura di fine Ottocento sono conosciuti ben più in Romania che in Italia.
Maurizio Vitiello – Quali linee operative pensa di tracciare nell’immediato futuro?
Raffaele Giannantonio – Aumentare la conoscenza a livello nazionale dei miei studi onde poter allargare gli orizzonti degli esiti critici di tali opere.
Maurizio Vitiello – Pensa che sia difficile riuscire a penetrare, cioè a comprendere, le frontiere dell’arte?
Raffaele Giannantonio – In teoria l’arte non dovrebbe avere frontiere, ma sappiamo bene che non è così. Sono stato, inizialmente, un semplice appassionato d’arte, visitando fin da ragazzino mostre e musei e poi, circa dieci anni fa, sono stato coinvolto nell’organizzazione del prestigioso Premio Sulmona da Gaetano Pallozzi, scomparso pochi mesi fa. Allora ho scoperto il “lavoro” dell’arte, i suoi confini e le sue leggi. Ho avuto importanti compagni di viaggio dai quali ho imparato molto, ma quello che mi ha garantito il lasciapassare tra le varie frontiere è stato l’aver conservato quell’entusiasmo giovanile che, accoppiato alla ferrea educazione impostami dai miei genitori, mi ha consentito di vedere anche nei marosi che imperversavano attorno a me un’espressione di artisticità, come se si trattasse della Grande onda di Kanagawa.
Maurizio Vitiello – Con chi le farebbe piacere collaborare per metter su una mostra, una rassegna o un progetto d’architettura e/o artistico?
Raffaele Giannantonio – Mi piacerebbe avere altre esperienze espositive con il gruppo di maestri e amici con il quale ho portato avanti il Premio Sulmona in questi anni. Il mio sogno è di organizzare una mostra diffusa sul “secolo d’oro” dell’arte abruzzese, ovvero l’ultimo Ottocento, che ha visto nella mia regione affermarsi personalità come quelle di Patini, Michetti, Barbella, dei Palizzi e così via. In architettura sarei felice di esporre le opere di Daniel Libeskind, dal Berlin City Edge al World Trade Center Master Plan, ma anche una rassegna di architetti giapponesi che già all’Aquila hanno lasciato un’importante traccia nella Paper Concert Hall (L'Aquila Temporary Concert Hall) di Shigeru Ban. Un motivo malinconico è, però, rappresentato dal desiderio inappagato di organizzare tutto questo con il figlio (e ancor di più con la figlia) che non ho avuto.
Maurizio Vitiello – Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei suoi progetti e dei suoi impegni, che vanno da Pescara a Constanƫa?
Raffaele Giannantonio – Per la mia onestà intellettuale, per l’impostazione crossover, la voglia di abbattere pregiudizi e steccati ideologici, l’aspirazione di far dialogare termini fra loro antitetici.
Maurizio Vitiello – Pensa che sia giusto avvicinare i giovani e presentare l’arte in ambito scolastico, accademico, universitario?
Raffaele Giannantonio – Senz’altro. Soprattutto nell’ambito universitario in cui opero e attraverso la materia che insegno, ritengo fondamentale far comprendere ai giovani che l’architettura è anche un’arte e che comunque senza arte non esiste. Gli stessi monumenti spiegati durante le lezioni non hanno significato completo se non si considerano le testimonianze di pittura e/o scultura che ospitavano, dal Partenone alla basilica di San Francesco ad Assisi.
Maurizio Vitiello – Prossima mossa?
Raffaele Giannantonio – Ho presentato due anni fa un programma di mostre di artisti contemporanei negli spazi espositivi in via di realizzazione nella sede del Dipartimento di Architettura. Spero alla riapertura di poter dar luogo a tale programma, partendo da una rassegna dedicata a Franco Summa, recentemente scomparso.
Maurizio Vitiello – Che futuro prevede dopo questo “stress test” global dovuto al COVID-19?
Raffaele Giannantonio – Posso fare l’esempio del 47° Premio Sulmona 2020. Come dirò estesamente più avanti, una serie di eventi ci ha costretti a rivedere completamente l’impostazione della mostra, che è divenuta digitale. Questo non mi ha sconvolto più di tanto perché nel Corso di Storia del Design un’intera lezione era dedicata alla tendenza all’immateriale nell’arte originatasi alla fine dello scorso secolo, a partire dalla mostra “Les immatériaux” organizzata a Parigi da François Lyotard nel Centro Pompidou (1986). Si è trattato in sostanza di seguire una tendenza già consolidata nel mondo dell’arte e di applicarla non solo alle opere esposte, ma anche agli ambiti museali e ai sistemi espositivi. Allo stesso modo ritengo che, pur confermando il primato della fruizione diretta dell’opera d’arte, quanto da noi realizzato in questa edizione del Premio troverà applicazione parziale, ma sostanziale anche nelle edizioni successive, poiché la Storia non torna mai indietro.
Maurizio Vitiello – In conclusione, mi può riferire del “Premio Sulmona 2020”, di cui è Presidente da alcuni anni, che ha aperto i battenti, non più a Settembre ma a Novembre 2020 per questioni COVID-19?
Raffaele Giannantonio – Quando siamo partiti con l’organizzazione, quasi un anno fa, non sapevamo cosa sarebbe successo. Poi, come detto in precedenza, abbiamo dovuto organizzare non solo l’esposizione in modalità virtuale, ma anche la cerimonia d’inaugurazione e le due di premiazione. Data l’erosione di contributi a sostegno della manifestazione (cfr. infra) abbiamo dovuto ricorrere alle sole energie derivanti dai contributi degli artisti partecipanti. In una fase di contrazione epocale c’era da temere il peggio e invece la partecipazione è stata record: 239 partecipanti di tutto il mondo hanno consentito al Premio di sopravvivere. Il catalogo, il più bello della sua lunga storia, è un volume ponderoso di 350 pagine, lodato apertamente da Vittorio Sgarbi, presidente onorario del Circolo d’Arte e Cultura “Il Quadrivio”, che organizza la manifestazione. Al successo quantitativo è corrisposto quello qualitativo, con un livello molto alto raggiunto dalla stragrande maggioranza delle opere in mostra. La fruizione dell’esposizione, allestita nell’antico museo di Santa Chiara, sede del Polo Museale Civico Diocesano, è stata garantita da quindici performances di nostri videomakers, organizzate tematicamente, premiate da migliaia di visualizzazioni. Le cerimonie sono state trasmesse su piattaforma, in via televisiva e social, garantendo così la totale copertura da parte del pubblico locale, nazionale e internazionale. Il riscontro è stato assolutamente positivo, senza alcuna polemica degna di nota da parte dei partecipanti.
Maurizio Vitiello – Il “Premio Sulmona” è una rassegna internazionale, che è un vanto per la cittadina abruzzese?
Raffaele Giannantonio – Non solo per Sulmona, ma anche per l’intero Abruzzo e possiamo dire per l’Italia. 47 edizioni senza iati sono un dato che garantisce rispetto e considerazione alla manifestazione stessa.
Maurizio Vitiello – Può citare nomi di artisti che sono transitati e di premiati?
Raffaele Giannantonio – I vincitori nei vari anni sono stati, tra gli altri, Franco Girosi, Ennio Calabria, Concetto Pozzati, Giannetto Fieschi, Pompilio Mandelli, Costis Georgiou, Piero Gilardi, Riccardo Licata, Franco Mulas, Giuseppe Zigaina, Carmine Di Ruggiero, Elio Marchegiani, Alejandro Kokocinski, Giuseppe Bergomi... Hanno inoltre esposto Remo Brindisi, Corrado Cagli, Virgilio Guzzi, Luigi Montanarini, Domenico Purificato, Renzo Vespignani, Alberto Sughi, Ernesto Treccani. La giuria è attualmente composta da Vittorio Sgarbi (presidente), Carlo Fabrizio Carli, Giorgio Di Genova, Raffaele Giannantonio, Enzo Le Pera, Marcello Guido Lucci, Cosimo Savastano, Duccio Trombadori, Maurizio Vitiello.
Maurizio Vitiello – Oggi non ci sono finanziamenti né pubblici, né privati dopo la crisi economica del 2008 e per causa terremoto che ha colpito la regione abruzzese?
Raffaele Giannantonio – Come prima accennato, si è verificata una defezione pressoché generale da parte dei nostri sponsors, tranne quelli consolidati che hanno però ridimensionato l’entità del contributo. Grazie alla Consigliera Antonietta La Porta, la Regione Abruzzo ha invece concesso alla manifestazione un buon sostegno che però, causa i meccanismi burocratici dell’ente, potrebbe giungere (e già sarebbe un’ottima notizia) a consuntivo delle spese sostenute. Speriamo dunque di poter reggere la carica del burosauro (secondo il termine coniato nel 1962 da Silvano Ambrogi) e di poterci riaffacciare all’edizione 2021 con la possibilità di poter programmare finalmente una manifestazione di altrettanta qualità senza essere costretti a interpellare il dio dei venti affinché la nostra nave abbia il giusto abbrivio verso la sua Itaca.
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Ultimo aggiornamento: 28/09/2021, 07:01