Roberto Franchitti / Critica

7 Aprile 2022 Redazione A&S 736

NELLA FOTO: FRANCHITTI CRITICA.

TESTO CRITICO / 1
(di Carmen D’Antonino / Storico dell’Arte)

L’arte concettuale, una tendenza artistica contemporanea della fine degli anni Sessanta del Novecento, che concepisce l'operare artistico come investigazione intellettuale sull’essenza dell’arte. Parliamo dl una forma d'arte in cui qualsiasi espressione di carattere emozionale, letterario e metaforico e completamente eliminata. E un contesto in cui si rifiuta l’oggetto e gli artisti si esprimono attraverso pubblicazioni di materiali, scritti fotografici o attraverso il contemporaneo uso di diversi tipi di mediali. In questo scenario sono molti gli architetti e i maestri che ci "insegnano" la bellezza del dettaglio, i quali raffinatamente sofisticati nella loro ricerca, giungono ad un’unità complessa dell'opera d’arte. Uno di questi artisti che possiamo definire contemporaneo ma allo stesso tempo ancorato alle sue radici e l'architetto Franchitti, in questa esposizione Franchitti, L’altro. Le sue opere sono un vero e proprio design concettuale, dando vita a nobili astrazioni. Pezzi di legno, ferro, matrici, accumuli di forme possibili che, da oggetti diventano un progetto fatto di tattilità e bellezza irrinunciabile. Le sue, sono delle sculture sublimi ed eleganti che progettano altre opere, una simbiosi di significanze, un’amplificazione narrativa del nucleo iniziale. L’osservatore viene coinvolto in un percorso virtuale, in una realtà specifica che allarga i suoi confini ai limiti avanzati della tradizione. L’impronta trascende l’ambiente, la materia scavata di segni criptici imprime di sé altra materia. Le sculture in questa esposizione mirano a cogliere le forme in crescita con un espansione dinamica. Campi rotanti che diventano “macchine organiche”, matrici che generano impronte e svelano tracce di memorie intime e collettive. In questa condizione la materia - corpo si impregna di sofferenza e si trasforma in presenza ansiosa, tormentata e, soprattutto, memoria organica che rivela la tragica e triste condizione dell’uomo contemporaneo. Siamo difronte a delle composizioni di volumi che trovano nelle più disparate tecniche, forme e parole, nei cromatismi e nei diversi materiali, gli elementi che reagiscono in un totale equilibrio dinamico. Il titolo della mostra ha una doppia valenza simbolica, e, come afferma l’artista stesso, “L'altro”, è quel Franchitti che si rivela al termine di un percorso tracciato all’insegna della creatività. Ma tra le due personalità c’è un filo continuo; la scoperta della differenza tra abitare e ripararsi e quella tra esistere ed essere. È un filo sottile che unisce e stringe indissolubilmente l‘interpretazione di una vita i cui valori spingono l'uomo a non subire gli avvenimenti ma a plasmare affinché la traccia dell’esistenza non scompaia con il corpo ma sopravviva con lo spirito. I suoi rapporti con il passato, presente e futuro sono molto forti: il passato che deriva dalle tradizioni ci rappresenta, il presente, che ci relaziona agli altri, rivela chi siamo, il futuro ci fa Capire cosa lasciamo di prezioso. In definitiva l’altro Franchitti è un passaggio dalla ricerca di benessere verso lo stato intimistico in cui il soggetto dell' "lo sono" è rappresentato dall’uomo, dalle tradizioni, dagli oggetti, dalle immagini, dalle ideologie, dai suoni, dagli odori che vivono dentro di noi. Il bisogno essenziale che ha Franchitti è quello di dar voce alla materia affinché diventi ossessiva metafora esistenziale. Da questo bisogno nascono gli ultimi lavori dove la presenza - assenza diventa essenza del corpo, così la forma crea delle maschere teatrali di assoluta bellezza e classicità, paesaggi antropomorfi, che giungono alla ricerca del particolare e del proprio inconscio. L'obiettivo verso cui l’altro Franchitti si protende è quello di lasciarsi prendere dal canto del coinvolgimento e, nel sentire, accarezzare, osservare, ricercare per ritrovare quell’equilibrio interiore con l’opera osservata.


TESTO CRITICO / 2
(di Gennaro Petrecca / Storico dell’Arte)

Uno degli elementi caratterizzanti dell’uomo rispetto alla specie animale è la percezione del finito o meglio della morte per cui la specie umana ha sin dalle origini avvertito la necessità di rendersi immortale, o meglio restare in vita anche dopo la morte fisica. Le scritture parietali, i fasti architettonici passando per i cimiteri monumentali non sono altro che l’espressione di tale desiderio la cui sublimazione su incarna nelle più elevate vette artistiche in ogni disciplina. Ogni uomo, ciascuno di noi, e l’interprete talvolta anche involontario di un proprio modo di “stare al mondo” di concepire l'esistenza terrena secondo una propria filosofia più o meno assonante con il “Logos” universale. Quello che mi ha colpito imbattendomi nell’amico Roberto Franchitti è stato proprio il suo modo di “stare al mondo”, di rapportarsi con gli altri forse anche alla ricerca di sé stesso. Ho avuto modo di visitare la sua casa nella scorsa estate incastonata nella vegetazione molisana come villa Malaparte a Capri o la prua del “MAS” al Vittoriale, una casa d’artista aperta agli amici come una crocevia di idee e di suggestioni. La sua presenza, unitamente a quella della sua gentile compagna, mi ha riportato anche nell’abbigliamento volutamente anticonformista alle atmosfere magiche della “Ville Lumiere” a cavallo tra '800 e '900 dove Franchitti e il genius loci al pari di Tolouse Lautrec. L'Uomo di gusto, avvezzo all’equilibrio tra il minimalismo e l’horror vacui riempie di se gli spazi che abita con elementi caratterizzanti le sue passioni, con l’attenzione del collezionista, l’estro dell'artista e la sintesi estetica dell’architetto. I lavori di Franchitti, nella maggior parte assemblaggi di materiali diversi per natura e destinazione hanno una marcata natura simbolica, talvolta ai limiti dell’esoterismo, sono la materializzazione, un concetto profondo in cui l’effetto finale induce l’osservatore a scoprirne il senso, l'essenza ontologica in essi percepita ma non rivelata. L’artista ci racconta di sé tramite le sue maschere, i residui della civiltà contemporanea come segni di un progresso che è stato origine e forse la fine del tutto. Gli accostamenti di elementi naturali quali legno e ferro, con frammenti simbolici di assoluta modernità dialogano in un linguaggio muto rimesso all’occhio dell’osservatore. Un’arte in equilibrio tra la forma e l'ermetismo, opere che hanno una natura iperbolicamente accostabile alla archeologia post industriale. Installazioni scenografiche in cui regna il silenzio che trasmette il loro significato profondo, una sintesi concettuale che è di per sé eloquente, in esse la forza espressiva si nutre dell'inespresso, del senso compiuto che non necessita d‘altro. La produzione artistica di Franchitti ha venature filosofiche forse inconsapevoli con richiami alla “fenomenologia dello spirito di Hegel" in quanto a ricerca dell'Assoluto così come nelle sculture lignee si ravvisano forti richiami al leziosismo del barocco ben coniugato con il movimento tipico dei futuristi. Ed e questo l‘incantesimo per cui l’arte è destinata ad autorigenerarsi, la possibilità per ciascuno di esprimere in forma il senso più profondo che lo lega all’anima del mondo.


TESTO CRITICO / 3
(di Cosimo Savastano)

La scultura proposta da Roberto Franchitti offre un valido e significativo esempio di come la sua visione creativa scaturisca da una spiccata esigenza di svincolo da norme e normative, mettendo allo stesso tempo in luce i criteri in ordine ai quali, come scrive, egli ritenga possibile riscoprire, ove si riconsideri sotto una diversa angolazione decentrata e capace di osservare quanto si è conosciuto, ciò che prima apparteneva al semplicemente visto. D’altronde, fantasista di formazione spontanea che coltiva la vocazione per la fantasia intesa quale valido supporto nel contrapporsi ai preconcetti e alle cose precostituite, egli esercita la sua creatività tenendo “sempre bene in vita una punta di autoironia” che lo aiuta a mettere in discussione pregiudizi e infondate opinioni prefissate e a “cercare in altro ciò che sembra scontato e già prestabilito”. Questa prova, inoltre, concorre a dar conto sia di come la rappresentazione e l’interpretazione della visione esistenziale approfondite soprattutto nella produzione plastica, verso cui tendono e confluiscono i continui appunti grafici e il variegato tipo di affini indagini e ricerche, affondino le radici nell’esperienza vissuta sia di quanto la via percorsa per l’acquisizione delle conoscenze e la conquista delle consapevolezze abbia inciso, senza minimamente condizionarli, sulla sua autonomia degli indirizzi e sullo spessore della sua espressione visiva. E in effetti, dopo essersi laureato in architettura a Roma, sua città natale, dedicando la quasi esclusività della formazione alla sperimentazione e ricerca nell’ambito creativo spinto da una innata curiosità per tutto ciò che ha sapore di novità da verificare, non a caso ha prescelto il Molise quale residenza di riferimento, nella convinzione che la fedeltà alle radici e il confronto a dimensione d’uomo con la provincia rimanga, per i rapporti e i raffronti con il territorio semplice e genuino, una costante irrinunciabile.


TESTO CRITICO / 4
(di Cosimo Savastano)

Fin dalle connessioni e dai rimandi sottesi alla scelta del tema oltreché dalla attenta e discreta misura con cui risulta costruita e modellata, la scultura inviata da Roberto Franchitti, si percepisce con quanta sensibilità e mirata consapevolezza questo autore attinga, nella ideazione ed elaborazione delle esperienze plastiche a cui attende, dal retroterra della cultura a cui ha conformato la sua personalità artistica e che ha approfondito soprattutto durante gli studi di architettura affrontati a Roma, la città in cui è nato e con la cui vitalità intellettuale conserva stretti contatti pur preferendo vivere a diretto contatto con la originaria terra molisana, nella convinzione che la fedeltà alle avite radici e il quotidiano confronto a dimensione d’uomo, consentiti dal territorio semplice e genuino della provincia, costituisca una costante irrinunciabile per i rapporti umani e una preziosa fonte di stimoli per la creatività. Difatti, realizzata con legno, ferro, radice, pelle e gesso, dal cui felice assemblaggio proviene un ulteriore attestato della attenzione e dell’interesse con cui si vale dei materiali dalla diversa natura e ne eleva qualità e valenze a linguaggio d’arte, questa prova è nata nella prima parte del corrente anno dedicato a Dante Alighieri quale omaggio con cui egli ha inteso contribuire alle celebrazioni del Sommo Poeta riportando l’attenzione e rimeditazione sul potere realistico-evocativo dei versi attraverso cui trovò la forte e impressionante fisionomizzazione di indimenticabile personaggio quel Caronte, che, già celebrato negli antichi miti, venne reimmaginato nelle funzioni di traghettatore delle anime dannate e poderosamente ritratto dal sommo toscano nei versi, fra i più efficaci e giustamente celebri, dell’Inferno.


TESTO CRITICO / 5
(di Azzurra Immediato)

All’ombra delle costruzioni contadine vengono individuate le sublimazioni di una raffinatezza per i particolari e per una creatività che va al di là di qualsiasi concetto di mera funzionalità e praticità quotidiana. Alla luce di un mondo semplice e funzionale nasce la convinzione che nella vita non tutto è solo funzionalità: esistono gesti impulsivi che vengono dall’ispirazione del posto, del momento, di un soggetto e che danno risultati senza fini apparentemente pratici; al fianco della geometria, delle regole e dei numeri si scopre l’atto spontaneo guidato dall’irrazionalità, quell’irrazionalità che conduce alla soglia del gesto artistico. […] Soprattutto è un gioco… un atto ludico che si raggiunge con l’esperienza dei giochi praticati nell’età puerile ricusata nel nome di una serietà adulta che uccide semplicità e genuinità e che si riesce a recuperare rinunciando agli stereotipi e ai preconcetti che ci vengono imposti da regole scritte e mai riscritte; regole che soffocano l’obiettività con cui affrontare i problemi con la conseguenza di dare soluzioni già provate, stereotipate e che, il più delle volte, necessitano di una alternativa nuova, più adeguata alla particolarità del caso, unico, non ripetibile. Pertanto, la regola è dimenticare le regole: non esistono regole.” Questa sorta di concept, duplice, giunge da quanto l’artista ed architetto Roberto Franchitti ha scritto nel suo “Lauto Ritratto” e in “DoveChiComeQuandoPerchè” una sorta di compendio alla sua conoscenza in cui, sotto l’egida preziosa dell’autoironia, egli si svela al lettore ed è per questo che ho pensato di riproporre nel presente catalogo alcuni passi salienti che possano, in un certo qual modo, legarsi alla lettura di sue tre opere partecipanti alla esposizione collettiva Selection Artists Galleria Farini a Parigi. Scopro, inoltre di conoscere in parte i luoghi che Egli cita e ora abita, per la breve distanza che esiste tra il mio Sannio ed il suo Molise e ritrovo, nelle sue parole, un appiglio multiforme cui offrire lo sguardo per comprendere meglio Giorgio Cavaliere, Soldati di maggio lungo il fiume e Onde Disperate, i tre lavori di assemblage scultoreo definiti come filiazione di un linguaggio senza parole che, tuttavia, si anima nella commistione e nella stratificazione di un missaggio profondo tra pars destruens et pars costruens e che si arricchisce di una semantica legata all’archetipo, alla facoltà di rinnovarsi di una identità mutevole, alla ricerca di una nuova dignità in grado di veicolare ancora un’idea, un’intuizione. La trasformazione è il solco in cui questo tipo di ricerca attuata dal Franchitti trova respiro, attuazione e tangibilità, segnalando la forza e l’energia sottesa a quanto altrimenti non considerato. L’astrazione, d’un tratto, trova giovamento nel dialogo con le titolazioni e la soluzione tecnica traduce il guizzo epifanico che sa parlare allo spirito e scavare nella forza di una memoria comune, spesso celata.