CopertinaContributi e SegnalazioniCostantino Pasqualotto: un artista da ricordare a quasi 270 anni dalla morte
24 Febbraio 2025 Redazione A&S 234
Negli anni Settanta apparve invece un altro contributo relativo alla ricostituzione del catalogo dell’artista vicentino grazie all’apporto fornito da Anna Maria Cappiello, la quale ha avuto il merito di aver compilato la tesi di laurea dell’Università degli Studi di Padova sulle vicende artistiche del Pasqualotto, nato a Vicenza il 31 Marzo 1681 e ivi morto il 25 Febbraio 1755. Accanto a questi due fondamentali contributi, la critica, soprattutto del Novecento, è stata abbastanza “avara” per quanto riguarda le pubblicazioni che potessero quantomeno mettere in evidenza l’apporto che questo artista ha fornito durante l’epoca tardo barocca; seppur citato in alcune guide della città di Vicenza nei secoli passati e persino nel grande volume “Storia Pittorica della Italia” dell’abate Luigi Lanzi, edito nel 1795-96, al Pasqualotto non è mai stata dedicata una monografia completa che includesse quantomeno il catalogo ragionato delle sue opere.
Quest’anno ricorrono i 270 anni dalla morte (25 Febbraio 1755) del grande artista vicentino e per stimolare il pubblico dei lettori a ricordarlo, ho deciso di buttare giù tre pagine sulle vicende di siffatto pittore che un tempo era abbastanza conosciuto ed apprezzato nei territori della Serenissima Repubblica di Venezia soprattutto per i dipinti devozionali, le decorazioni e gli affreschi all’interno delle ville. Costantino Pasqualotto si forma presso la bottega paterna, ovvero quella di Giacinto Pasqualotto, artista misterioso, di cui non resta pressoché nulla della sua opera. Il giovane artista inizia a seguire le orme paterne già agli inizi del Settecento e lo fa con una certa diligenza e capacità durante le sue prime prove come apprendista pittore: risale al 1708 il ciclo pittorico del soffitto della chiesa di Sant’Apollinare a Monticello di Lonigo (Vicenza) in cui Pasqualotto dà prova di saper impaginare delle composizioni di una certa abilità scenografica, laddove le figure ivi presenti acquistano una certa scioltezza e dinamicità. Una tra tutte è la figura di Sant’Agostino (fig. 1), caratterizzata da un certo effetto prospettico dal taglio fortemente scorciato, elemento che ritroveremo anche nelle fasi successive della sua lunghissima carriera che durerà oltre 45 anni.
In questa prima fase, ancora di formazione, del suo percorso artistico troviamo figure legate altresì agli stilemi attardati sia del Manierismo veneto che della pittura seicentesca, connettendolo indissolubilmente alla tradizione figurativa che ci riporta alla mente la bottega dei Maganza, ma anche del Carpioni, Maffei e Sebastiano Ricci. Il Sant’Agostino del soffitto di Monticello di Lonigo acquista parimenti una sua forza plastica tipica della pittura dell’Italia settentrionale del Seicento con vaghi ricordi del tenebrismo veneziano e del realismo del Ribera, quest’ultimo stemperato però dai tocchi veloci di colori squillanti, dai riflessi cangianti e lucenti, dati con pennellate rapide e vibranti. Il Dottore della Chiesa qui rappresentato dal Pasqualotto, la cui posizione semisdraiata ricorda quella delle figure recumbenti di lunga tradizione scultorea etrusca e romana, appare fortemente chiaroscurata ed enigmatica tale da far risaltare viepiù il suo valore pragmatico e dottrinale.
A seguire, Costantino Pasqualotto completerà la sua formazione di base presso il pittore vicentino Antonio de’ Pieri, punto cruciale per la sua svolta in direzione tardo-barocca e Rococò: alla fine degli anni ’20 del Settecento, Pasqualotto si aggiorna su tutti i fronti, anticipando soluzioni compositive e cromatiche che saranno meglio approfondite da Giambattista Tiepolo a partire dagli anni ’30. A questa seconda nuova fase del suo iter artistico, che si situa tra la fine degli anni ’20 e gli inizi del decennio successivo, possiamo collocare con ottimi argomenti una notevole pala d’altare raffigurante la Madonna in alto sulle nubi, seduta di tre quarti con il Bambino sulle ginocchia che ostenta il Rosario e in basso i SS. Pietro e Paolo in ginocchio[1] custodita nella sagrestia di San Pietro in Vicenza (fig. 2): la virata in direzione Rococò si esprime compiutamente mediante l’uso di una tavolozza brillante, dai colori squillanti e tutta giocata sui toni pastello dei gialli, dei rossi aranciati, del blu intenso e del grigio madreperlaceo, in un contrasto cromatico che appare tutt’altro che stridente bensì piacevole alla vista; un inedito cambiamento – che denota l’avvicinamento alla poetica tardo barocca e rococò dei pittori Giordano, Ricci e Galeotti – è ravvisabile nella sfrangiatura dei contorni delle immagini sacre, laddove non insiste più il forte chiaroscuro ravvivato dai riflessi cangianti, come avveniva invece nel dipinto del Sant’Agostino, ma al contrario tutta la materia pittorica è molto più leggera ed aerea.
Da notare la candida immagine della Vergine dal volto ovale, il cui corpo è senza peso e pare stia scivolando in basso, posato com’è sulla nuvoletta carica e tenera come la panna montata. Tra gli anni ’40 e ’50 riemergeranno invece come un fiume sotterraneo suggestioni derivanti dal suo secondo maestro Antonio de’ Pieri, quali ad esempio le composizioni affollate di angeli e di elementi architettonici, fondendo le sue riflessioni sulla prospettiva di scorcio e sull’effetto sottinsù con lo studio della scenografia teatrale bibbienesca di stampo settecentesco: nella Visione di San Giovanni della Croce, pala d’altare conservata nella chiesa di San Marco a Vicenza, prevalgono effetti teatrali di matrice berniniana, quali ad esempio la posizione che assume il volto del Santo carmelitano dallo sguardo estatico e dagli occhi rivolti all’insù; nondimeno le architetture sullo sfondo hanno una vago sapore che rinvia al Barocco romano unito alla conoscenza del Quadraturismo veneto.
Costantino Pasqualotto sarà un artista assai prolifico: oltre alle pale d’altare, egli eseguirà numerosi cicli di affreschi in chiese e ville sparse nel vicentino e nel padovano, avvalendosi di una bottega ben addestrata e rivelando egli stesso delle buone doti di scenografo e di colorista. Riallacciandomi a questo discorso, non posso esimermi dal citare il suo capolavoro assoluto la Beata Vergine in gloria venerata da San Faustino, San Filippo Neri e gli angeli (fig. 4) in San Faustino a Vicenza, elogiato oltremodo dal Cevese di cui tesse le lodi con queste frasi molto lusinghiere che qui cito: affresco di vasto respiro, nel quale il Costantini impegnò tutte le sue risorse di disegnatore e di colorista...
Pasqualotto, infine, diversificherà la sua produzione consueta di pale d’altare e di soggetti allegorici introducendo un tema che poi avrà tanta fortuna con i Tiepolo padre e figlio: il ciclo delle Stazioni della Via Crucis, risalenti agli anni quaranta del Settecento e ora visibili a San Giuliano a Vicenza; del ciclo suddetto il pittore ne realizzerà due versioni, di cui il primo già citato (1742) ed il secondo per una chiesa di provincia. Morirà nel mese di Febbraio 1755 e lascerà un’eredità di una certa rilevanza per le generazioni future di artisti locali.
Francesco Caracciolo
[1] M. Saccardo, Notizie d’arte e di artisti vicentini, Gaspari Editore, 2007.
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Ultimo aggiornamento: 25/02/2025, 10:50