CopertinaContributi e SegnalazioniIl genio di Gemito protagonista al Museo e Real Bosco di Capodimonte dal 10 Settembre al 15 Novembre 2020
8 Settembre 2020 Ivan Guidone 3446
La redazione di Arte & Società è lieta di comunicarvi che dal 10 Settembre fino al 15 Novembre 2020, presso il Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, si terrà la mostra "Gemito. Dalla scultura al disegno" a cura di Jean-Loup Champion, Maria Tamajo Contarini e Carmine Romano.
Un appuntamento da non perdere assolutamente, non solo con l'Arte ma anche con la nostra Storia! Di seguito, vi riportiamo il comunicato stampa ufficiale dell'evento.
La mostra Gemito è un progetto di Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte e di Christophe Leribault, direttore del Petit Palais di Parigi, dove si è svolta la prima esposizione dal titolo Gemito. Le sculpteur de l'âme napolitaine (dal 15 Ottobre 2019 al 26 Gennaio 2020). L'enorme successo riscosso a Parigi, ha restituito alla sua legittima fama internazionale il grande artista di fine dell'Ottocento e alla sua incomparabile abilità nel captare le anime, una delle maggiori sfide del ritratto, che va ben al di là della somiglianza.
La seconda esposizione a Napoli, nella città natale dell’artista, dal titolo Gemito. Dalla scultura al disegno (10 Settembre-15 Novembre 2020), a cura di Jean-Loup Champion, Maria Tamajo Contarini e Carmine Romano, invece, si concentrerà più sui due grandi amori della sua vita che sono stati anche le sue muse: la francese Mathilde Duffaud e la napoletana Anna Cutolo.
“Gemito, poco noto in Francia – afferma il direttore Bellenger – a Napoli assume le dimensioni di un mito, di una grande figura della leggenda, non nera e ossessiva come quella di Caravaggio, ma tenera, a cui i napoletani si sono affezionati. Un sentimento che nasce dall’ammirazione e dall’indulgenza verso il figliol prodigo, il ragazzo di strada. Gemito fu uno scugnizzo, il Gavroche dei francesi”.
“Gemito sculpteur de l’âme napolitaine” è stata la prima mostra dedicata a Gemito fuori dall’Italia dopo la morte dell’artista, il che può apparire sorprendente trattandosi di un uomo che aveva trovato la gloria proprio a Parigi, durante l’Esposizione universale del 1878, e che aveva stretto amicizia con i grandi artisti del tempo: Meissonnier ma anche Rodin. “Con la mostra al Petit Palais, Gemito non ha cambiato volto, ma la sua figura è cresciuta, incontrando un’altra leggenda – continua Bellenger - La sua “nicchia” di scultore pittoresco e realista si è allargata, a beneficio non solo di una migliore comprensione della sua strategia artistica ma anche di una leggenda che, uscita dalle sue frontiere, ha spezzato il suo isolamento e ha assunto una forma più universale: quella dell’artista maledetto. La miseria, la gloria e la follia, tutti gli ingredienti che la nostra modernità è solita associare all’arte, sono in effetti riuniti in Gemito, che è entrato cosı̀ nell’universo dei Camille Claudel, dei Van Gogh, degli Antonin Artaud, dei folli devastati o, al contrario, elevati dalla loro follia. Questa leggenda, a sua volta, non è certamente priva di conseguenze per il talento di un artista, ma ci ha permesso di rivalutare l’ultimo periodo della sua produzione, i suoi ultimi vent’anni di vita, in cui il disegno diventa scultura”.
La mostra che si apre a Capodimonte, “Gemito dalla scultura al disegno”, ha l’ambizione di riassumere le rivelazioni di quella parigina, organizzandole però diversamente intorno ai suoi esordi, ai busti, alla gloria, agli amori (la francese Mathilde e la napoletana Anna), alla follia e alle ultime opere. “Addolorato dal lutto, ferito dalla demenza, Gemito realizzò nei suoi ultimi anni una serie di opere sorprendenti, un nuovo ritorno all’antico, ma come stranamente attraversato dalla modernità delle secessioni artistiche dell’inizio del XX secolo, una sorta di manierismo che fa pensare a Vienna, a Monaco e che anticipa la rottura italiana della pittura metafisica e in particolare di Gino Severini – conclude Bellenger - Come tutte le mostre dedicate a Gemito, passate e future, anche queste due insistono sul genio tecnico di Gemito, un genio che le repliche tardive dei suoi bronzi che invadono il mercato hanno cancellato, per non dire umiliato”.
La vita di Vincenzo Gemito (1852-1929) ha tutti i caratteri della leggenda: bambino esposto, abbandonato dalla madre e depositato nella ruota dell'Annunziata a Napoli il 17 Luglio 1852, poi adottato da una famiglia povera, crescerà nelle strade di Napoli a contatto con quegli 'scugnizzi' che diventeranno uno dei suo soggetti preferiti. Circondato dall’affetto dei genitori adottivi, l’artista si forma lontano dalle accademie legandosi ad artisti “ribelli” come Antonio Mancini, Giovan Battista Amendola, Achille d’Orsi ed Ettore Ximenes. Da ragazzo osserva la tradizione locale presepiale delle botteghe di San Gregorio Armeno e la classicità dei reperti archeologici di Ercolano e Pompei esposti al Museo Nazionale di Napoli (oggi Museo Archeologico). Giovanissimo entra come nello studio dello scultore Emanuele Caggiano, poi diventa allievo di Stanislao Lista e Domenico Morelli. Da subito viene riconosciuto come un brillante scultore: il suo Giocatore, scolpito all’età di 17 anni, fu subito acquistato dalla Casa Reale per la Reggia di Capodimonte. A 23 anni vanta una serie di busti di personaggi illustri tra cui Morelli, Verdi e Michetti. Il suo Ritratto di Verdi lo rende famoso e viene invitato ad esporre a Parigi, capitale delle arti europee, dove il suo Pescatore con il suo realismo rivoluzionario provoca uno scandalo nel 1877. La critica grida alla bruttezza, ma il pubblico è entusiasta. La gloria arriva a soli 26 anni in quella Parigi dove arriva con l'amico Antonio Mancini, detto 'Totonno', e dove stringe importanti relazioni artistiche e umane con Giovanni Boldini che lo introduce negli ambienti parigini e, soprattutto con Ernest Meissonier, con cui intrattiene rapporti amicali e non solo professionali come testimonia l'intesa corrispondenza epistolare.
Dopo l'Esposizione Universale del 1878 Gemito torna a Napoli dove crea, grazie all'aiuto dell'amico barone du Mesnil la fonderia a Mergellina nella quale sarà di grande aiuto 'Masto Ciccio', come affettuosamente chiama Francesco Jadicicco, secondo marito della madre adottiva Giuseppina Baratta. Il re d'Italia Umberto I gli ordina la colossale statua di Carlo V per la facciata del palazzo reale di Napoli, poi Un surtout di tavola d'argento. Ma lo spirito di Gemito è indebolito e, passando da una crisi di follia all'altra, sarà rinchiuso prima nella clinica psichiatrica Fleurent e poi si chiuderà in un lungo autoisolamento, per oltre venti anni, nella sua casa di via Tasso. La sua scultura si trasforma e il suo disegno si libera e si espande fino a farne uno dei più grandi disegnatori del suo tempo (es. i ritratti dei figli dell'albergatore Bertolini, esposti ora a Philadelphia). In questa mostra è rivalutata l’ultima produzione di Gemito mettendo in luce i suoi stretti rapporti con altri artisti europei di inizio Novecento. Gemito muore a Napoli nel 1929.
La mostra Gemito, dalla scultura al disegno è suddivisa in nove sezioni in cui le opere sono esposte cronologicamente e associate a quelle di artisti suoi contemporanei. Due sezioni sono dedicate ai due grandi amori della sua vita: la francese Mathilde Duffaud e la napoletana Anna Cutolo, detta 'Nannina' da cui avrà una figlia: Giuseppina. Tra i capolavori in mostra c'è il magnifico Medaglione con la testa di Medusa in argento dorato proveniente dal Getty Museum di Los Angeles, il famoso Giocatore e l’altrettanto celebre Pescatore Napoletano. E, ancora il Fiociniere, la Testa di fanciulla, il Malatiello, il Pescatorello, l’Acquaiolo, il Pastore degli Abruzzi, il busto della moglie Anna e quello di Giuseppe Verdi. Ci sono poi i disegni, tra cui La Zingara. In mostra anche la celebre Coppaflora, recentemente acquisita alle collezioni di Capodimonte grazie a un atto di mecenatismo di cinque imprenditori napoletani, attraverso lo strumento fiscale dell'Art Bonus.
La maggior parte delle opere sono in collezione al Museo e Real Bosco di Capodimonte, ma molte provengono dalla Collezione Intesa Sanpaolo-Gallerie d'Italia Palazzo Zevallos Stigliano, partner anche dell'esposizione parigina, dal Polo Museale della Campania (Museo e Certosa di San Martino, Castel Sant'Elmo), dal MANN-Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dalle Gallerie dell'Accademia di Belle Arti di Napoli, dal Museo d’Orsay di Parigi, dal Philadelphia Museum of Art e dal Getty Museum di Los Angeles negli Stati Uniti, dalla GAM-Galleria d’Arte Moderna e dalla GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, per citare solo alcune delle istituzioni museali nazionali e internazionali e da molte raccolte private.
L'immagine del pescatore napoletano, vestito con i pantaloni corti, la camicia con le maniche arrotolate e col berretto rosso, fa parte dell'immaginario europeo fin dal tempo dai viaggiatori del Grand Tour del XVIII secolo e resa popolare dai dipinti di Franz Ludwig Catel.
È la languida figura di Antonin Moine, recentemente donata al Museo di Capodimonte, che inaugura la mostra Gemito. Si tratta di una grande versione inedita in una fusione in sabbia di Braux del 1838. Quest'opera fu apprezzata da Victor Hugo e deve molto all'Endimione dipinto dal suo maestro Girodet. Il giovane ragazzo sembra addormentato accanto al remo della sua barca.
Gemito riprende lo stesso tema, ma dall'interno, per così dire, cercando l'osservazione cruda e acuta della sua realtà quotidiana e creando così una vera e propria rottura a Parigi nel 1877, esponendo la figura "ripugnante" del suo Pescatore, vero manifesto del Verismo napoletano.
In questa sezione sono esposti anche tre pastori originali del ‘700: un ricco contadino (mezzo carattere), una popolana e un vecchio "spogliato" cioè senza vestiti, in cui è visibile il suo manichino di stoppa, la testa in terracotta, le mani e i piedi in legno. Il giovanissimo Gemito, infatti, trascorreva il suo tempo a San Gregorio Armeno osservando gli artigiani che realizzavano le figure presepiali.
A sedici anni Gemito realizza Il giocatore, suo primo capolavoro presentato all'annuale mostra Promotrice di Napoli con l'iniziale titolo moraleggiante Il vizio!, subito acquistato dalla Casa Reale di Capodimonte. Dal 1870 al ‘72 lavora nello studio presso il convento abbandonato di Sant’Andrea delle Dame, nei pressi dell'Accademia, condiviso con il pittore Antonio Mancini e altri giovani artisti.
La sua produzione ha come soggetto privilegiato quegli scugnizzi dal destino precario in cui rivede se stesso e di cui plasma intensi ritratti modellati nell’argilla con straordinaria abilità.
Nel 1871 con l’altorilievo raffigurante Giuseppe venduto dai fratelli vince il concorso bandito dal Real Istituto di Belle Arti per il Pensionato di Roma, alla cui conclusione presenterà il suo affascinante Bruto.
Qui riunite in mostra una serie di sette teste di bambini in terracotta eseguite nello stesso periodo. La maggior parte di questi scugnizzi appartengono alle collezioni del Museo di San Martino e delle collezioni di Intesa Sanpaolo, Gallerie d'Italia Palazzo Zevallos Stigliano a Napoli e i loro titoli sono stati dati in seguito, come il Malatiello, il Fiociniere, un ragazzino che pesca il polpo con l'arpione, o l'Idiota, la cui espressione malinconica e pensosa si oppone al suo nome. Tra questi c'è anche il busto di un bambino offerto da Gemito al pittore De Nittis, che a sua volta lo donò nel 1871 all'Annunziata, l'istituzione stessa che aveva accolto l'orfano Gemito. La testa del giovane Pastore degli abruzzi fu probabilmente modellata a Sant'Andrea delle Dame e poi fusa in bronzo.
Tra i ritratti più celebri c'è sicuramente quello del compositore Giuseppe Verdi, nel 1873 a Napoli per la messa in scena al Teatro San Carlo di due opere, Don Carlo e Aida. Domenico Morelli, grande amico del musicista, lo convince a farsi ritrarre da Gemito, suo giovane protetto squattrinato in cerca di denaro per sottrarsi al servizio militare e pagare un sostituto. Gemito trova l'ispirazione solo quando Verdi si china a suonare il suo fortepiano e così lo ritrae nel pieno dell’ispirazione, a testa bassa; una fisionomia pensosa che suscita molte critiche e caricature quando Gemito espone il bronzo a Parigi al Salon del 1877 e la terracotta all'Esposizione Universale del 1878.
In mostra anche i busti del pittore Petrocelli, di Domenico Morelli, docente di pittura, dello spagnolo Fortuny, in vacanza a Portici nel ’73 e dell’abruzzese Michetti, sodale di D’Annunzio. Quest'ultimo ritratto di Michetti, realizzato intorno al 1875, sarebbe stato modellato a partire da una maschera in gesso ancora in forma liquida applicata da Gemito al volto del pittore stesso, con il metodo classico del calco, con cannucce nelle narici per evitare il soffocamento. Questa tecnica era considerata sia in Italia che in Francia come una sorta di imbroglio di cui Rodin fu accusato quando espose L'Age d'Airain al Salon del 1877.
Tra i capolavori l’aggraziato ritratto di Guido Marvasi, figlio del prefetto Diomede Marvasi rappresenta, nella sua condizione sociale privilegiata, una vera eccezione tra la folla di scugnizzi.
Al soggiorno a Parigi del 1877 rimandano, invece, i ritratti di esponenti della cultura francese conosciuti tramite il pittore Boldini, nella capitale dal 1871.
Nel 1877 Gemito, venticinquenne, va a Parigi seguito anche dall’amico Antonio Mancini, detto 'Totonno' e deciso a cercare fortuna nella capitale delle arti. Il suo Pescatore, esposto al Salon, suscita grandi entusiasmi ma anche scandalo per il suo crudo realismo. Il ragazzino nudo accovacciato su una roccia che tiene tra le dita il pesce appena pescato è scioccante per il suo realismo, la sua fisionomia, i suoi capelli ribelli e il suo corpo da ragazzino malnutrito, lontano dalla classica bellezza che il pubblico francese si aspetta da un'opera italiana. Il contributo del realismo della scuola napoletana è ulteriormente accentuato dal gruppo dei Parassiti dell'amico e compagno di scuola Achille D'Orsi, opera presente in mostra come pure La Rissa in gesso di Ettore Ximenes.
Il rimprovero di bruttezza fatto al Pescatore di Gemito tornò quattro anni dopo quando Degas espose al Salon degli impressionisti nel 1881 la sua Petite danseuse de quatorze ans a testimonianza dell'influenza che Gemito ebbe sugli artisti francesi.
In mostra anche una delle opere più famose di Gemito, l'Acquaiolo, una sensuale evocazione dell'antichità romana, una figura nuda di un giovane ragazzo che porta l'acqua in un grande vaso poggiato sull'anca mentre con la mano sinistra sorregge una tazza, che ha realizzato a Napoli al suo ritorno da Parigi.
Gemito e Mancini a Parigi incontrano Giuseppe De Nittis, in città da oltre un decennio. Unico artista italiano presente alle mostre degli Impressionisti e amico di Degas, offre loro cordiale ospitalità. Tra le opere di Mancini in mostra Piccolo scolaro e 'O Prevetariello.
Fondamentale per il successo dello scultore sarà, poi, l’incontro nel 1888 con il più potente e famoso pittore dell’epoca: Ernest Meissonier che lo prende sotto la sua protezione e lo incoraggia. Gemito gli consegna il Pescatore per ringraziarlo del suo sostegno e, tornato a Napoli, mantiene una regolare corrispondenza con il maestro, la moglie e il figlio. Gemito realizza un ritratto di Meissonier in forma di statuetta dell'artista.
Nel 1872 lo scultore incontra Mathilde Duffaud, modella francese di nove anni più grande, che vive con l'antiquario Duhamel. Se ne innamora e la porta nel suo nuovo studio al Mojariello. In questo periodo realizza il ritratto di lei in terracotta del 1872, tra i suoi più grandi capolavori. Quando nel ‘77 l’artista va a Parigi, lei lo raggiunge ma è già malata e Gemito chiede ai familiari di vendere tutto quello che c’è nel suo studio di Napoli per poterla curare.
Rientrati in città nel 1880, le condizioni di salute della donna peggiorano progressivamente fino alla morte nell’aprile del 1881.
Dai felici entusiasmi dei primi incontri fino ai tempi disperati, la storia tra i due è documentata da un gran numero di intensi ed emozionanti sculture e disegni.
Sconvolto dalla morte di Mathilde, lo scultore si trasferisce per qualche mese a Capri, dove modella piccoli ritratti di isolani che trovano il favore del pubblico.
Nel 1883, con l’aiuto del barone belga Oscar du Mesnil, apre una sua fonderia a Mergellina dalla quale provengono eccellenti fusioni realizzate sotto il diretto controllo dell’artista che ha organizzato una piccola squadra affidata a 'Masto Ciccio'.
Nel 1885, quando il re Umberto I gli commissiona la colossale statua del Carlo V per una nicchia della facciata del Palazzo Reale e, l’anno seguente, un Centrotavola in argento, la sua salute mentale comincia a vacillare. Gemito va in crisi: finora ha rappresentato solo coloro che popolano il suo mondo, ma mai una grande figura storica, una statua destinata ad essere colossale in marmo, materiale che a Gemito non piace. Si reca subito a Parigi nel 1885 per chiedere consiglio al suo grande amico Meissonier, specialista in ricostruzioni storiche, e anche per copiare le armature della sua collezione. Quando il marmo viene esposto nella sua nicchia di Palazzo Reale, Gemito rileva un errore nella posizione dell'indice allungato della mano destra e lo fa correggere: ecco il famoso dito in gesso, nelle dimensioni del marmo, donato nel 2018 al Museo di Capodimonte.
Nel 1886, il re Umberto I fece un secondo ordine a Gemito, un Trionfo da tavolo d'argento, per il suo Palazzo di Capodimonte. Ancora una volta, questo tipo di grande opera neobarocca è estranea al talento di Gemito. L'angoscia che segue questa commissione indebolisce ulteriormente lo stato psichico dello scultore, ricoverato presso la Clinica Fleurent di Napoli. Al suo ritorno, si rinchiuderà nella sua casa di via Tasso, in una sorta di esilio volontario per oltre venti anni, senza però smettere di creare. Realizzò numerosi disegni preparatori per il "surtout", oltre a un grande bozzetto in cera, ora al Museo di Capodimonte nella sezione dell'Ottocento privato, ma non completò mai la commissione e il Duca d'Aosta accettò di rinunciarvi definitivamente.
Nel 1882 Gemito si innamora di Anna Cutolo, modella riconoscibile nel superbo dipinto di Donna con ventaglio di Domenico Morelli. Dal matrimonio tra i due nasce, nel 1885, la figlia Peppinella destinata a divenire valido supporto all’attività paterna.
La bellezza procace della sua Nannina, così diversa da quella delicata della fragile Mathilde, diventa protagonista delle opere dello scultore.
Ancora una volta, però, il destino gli sottrarrà l’amore e, nel 1906, Anna muore tra le sofferenze della malattia documentata da struggenti, quasi impietosi disegni dell’artista che ripiomba nello sconforto. In mostra anche un piccolo vaso di bronzo con parte del braccio che lo mantiene, un frammento dell'acquaiolo, che porta la scritta Nannina in inchiostro rosso, un omaggio ad Anna, e sul retro, 'son lacreme d'amore e non è acqua', una strofa di Fenesta vascia, la famosa canzone d'amore napoletana trascritta da Guglielmo Cottrau nel 1820.
Gemito inconsolabile, avendo successivamente perso i due grandi amori della sua vita, rimane solo con la figlia per i ventitré anni che gli restano.
Tra il 1886 e il 1909 Gemito è afflitto da gravi turbe psichiche. Ciononostante continua a lavorare e a questi anni si data un importante nucleo di disegni.
La cospicua opera grafica dell’artista, caratterizzata da un tratto rapido e sapiente, illuminata da tocchi di luce atti a ottenere una grande forza plastica, è composta da bozzetti e studi ma anche da disegni autonomi, a volte di grande formato, come i bellissimi Ritratti Bertolini, del 1913 e 1914, e conservati oggi al Philadelphia Museum, mai esposti in Italia. Il padre possedeva uno degli alberghi più grandi e lussuosi di Napoli, il Bertolini Palace Hotel, affacciato sul golfo dalla cima del parco Grifeo.
Gemito disegna anche il suo collezionista e mecenate Achille Minozzi, un'imponente figura a carboncino che occupa un intero grande foglio di carta alla maniera dei ritratti della borghesia realizzati dagli artisti della Neue Sachlichkeit. Disegna le donne di campagna o gli zingari che incontra quando lascia Napoli per andare a Gennazzo, ma anche le adolescenti, o la nipote Annita. Il mezzo grafico gli consente una grande libertà espressiva che lo conduce a soluzioni innovative, di apertura verso il nuovo secolo. Tutti questi straordinari disegni furono ampiamente riprodotti sulla stampa italiana dell'epoca, spesso mostrati dal suo più importante collezionista Achille Minozzi, che ne aveva quasi quattrocento. Furono studiati, dopo la morte dell'artista, da Giorgio De Chirico, in un momento molto influenzato da lui e dal fratello Alberto Savinio, che scrisse diversi testi entusiastici sull'opera grafica di Gemito.
Riemerso improvvisamente dal suo turbato mondo sul finire del primo decennio del Novecento, Gemito, quasi sessantenne, riprende con fervido entusiasmo la sua attività e si mostra in sintonia con il fresco gusto europeo dell’Art Nouveau, come testimoniano soprattutto le opere in argento.
Tra difficoltà e riconoscimenti lavora fino alla morte, nel 1929, dedicandosi a un’affascinante rilettura dell’antico quasi a ricongiungersi con i suoi inizi quando, adolescente, visitando il Museo Nazionale di Napoli, ritrovava istintivamente, in quelle antiche sculture, la sua natura ellenica partenopea. Negli ultimi venti anni di vita, Alessandro Magno diventa per Gemito una vera ossessione da cui nascono disegni e ritratti realizzati con varie tecniche e materiali al punto che nel 1938 la figlia Giuseppina dichiara: “Alessandro era di casa. Siamo cresciuti assieme. […] Papà voleva più bene ad Alessandro che a me...”
Il ritorno di Gemito all'antichità comprende argenti e oggetti decorativi, di cui diversi esemplari sono esposti in mostra, il più famoso e spettacolare dei quali è il medaglione in argento e vermeil conservato al Getty Museum, dove il dritto rappresenta la testa così come appare sulla tazza Farnese, ma delimitata da piccoli serpenti la cui coda si estende sul rovescio, occupata al centro dalle squame di una pelle di serpente. Gemito raffigura un altro soggetto classico: Atalanta su un piatto d'argento, ispirato dal famoso dipinto di Guido Reni Atalanta e Ippomene.
In mostra la straordinaria Coppaflora o coppa nuziale in bronzo argentato. Gemito si ispira al vaso stamnos di tipo greco. La ciotola è decorata su ogni lato con una testa coronata di fiori con corone di fiori al centro e sull'altro lato due delfini, un motivo caro a Gemito.
La mostra si conclude con il lavoro contemporaneo dei fratelli napoletani Luciano e Marco Pedicini, un dittico fotografico dal titolo Paesaggi espositivi, che mette a confronto le opere di Gemito con il paesaggio della Napoli di oggi, evidenziando l'immutabilità dei volti dei bambini della città nel tempo: il volto scarnifcato di Ael, bambina rom che campeggia gigantesca sulla facciata cieca di un palazzo di Ponticelli opera dello street artist Jorit Agoch che rimanda alla piccola Zingara di Gemito.
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Ultimo aggiornamento: 08/09/2020, 11:57